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Attualità lunedì 19 settembre 2022 ore 19:15

Il premio Pieve a una vittima della Grande Guerra

La giuria nazionale ha scelto la memoria "Addio Patria Matrigna" di Aldo Clocchiatti morto di febbre spagnola nel 1918



PIEVE SANTO STEFANO — La Giuria nazionale del 38° Premio Pieve Saverio Tutino ha premiato Ado Clocchiatti autore della memoria Addio Patria matrigna.

La cerimonia di premiazione, condotta da Guido Barbieri, sarà trasmessa oggi, lunedì 19 settembre, alle 20,30 da Rai Radio3.

Nato a Udine nel 1883 in una famiglia di conciapelli, Ado dovrà abbandonare gli studi nonostante la “distinzione” con cui ottiene la licenza elementare. Scrive la sua memoria nel 1916, poco prima della chiamata alle armi per difendere la stessa “maledetta patria” che lo ha costretto a una vita di migrazioni, povertà, lavori durissimi in condizioni al limite della sopravvivenza, e che gli sta chiedendo di combattere il “nemico” dal quale ha dovuto elemosinare il lavoro per sopravvivere. Ado ha lavorato in Baviera, Austria, Slovenia e Italia. Arruolato il 27 luglio 1916, muore di febbre spagnola a Legnano il 7 ottobre 1918.

"In questa memoria di una vita breve e struggente" si legge nella motivazione della Giuria, "scritta con una intensità che coinvolge e commuove, emergono la saggezza e la rassegnazione di un vinto che sa di non poter cambiare il proprio destino. Durante la Prima Guerra mondiale, Ado, da pochi anni sposo e padre, forse presagendo che non riuscirà a tornare a casa (morirà di spagnola nel 1918) decide di raccontare la sua storia. Friulano, nato in una famiglia poverissima nel 1883 a Pasian di Prato, nonostante sia uno dei migliori allievi della scuola elementare deve iniziare a lavorare ad appena 10 anni per contribuire al sostentamento della famiglia. Ma il lavoro non c’è e inizia così una lunga storia di migrazione stagionale in Germania e nel vicino Impero austro ungarico. Ado ci racconta dall’interno la tragedia dello sfruttamento minorile, perché i bambini vengono messi a lavorare in condizioni terribili. Maltrattamenti, fame e violenze fisiche erano quotidiane. Un povero per vivere deve soffocare l’amore e viene condannato a vivere come la bestia, lavorare, mangiare, se un povero avesse i sentimenti di divenire un uomo, per mancanza di mezzi deve rimanere ignorante, così va il mondo.

Ma Ado diventerà un uomo, fin troppo presto. Lavorerà sempre, perché i genitori malati non riescono a provvedere alla famiglia. C’è un movimento continuo di partenze e ritorni. Più si rende conto della fragilità dei genitori, più il giovanissimo Ado si assume quasi il compito di tenere insieme i suoi cari. Ma la speranza di restare uniti viene continuamente frustrata dalla mancanza di lavoro. Il legame con il padre diventa inscindibile. Emigrano e cercano di trovare lavoro negli stessi cantieri, passando per Vienna e Abbazia dove scoprono le bellezze dell’archittettura, delle città e del mare che gli era sempre stata negata. Il rapporto di protezione reciproca via via si rovescia perché diventa il più giovane a prendersi cura dell’altro: per il padre sfinito nel corpo e nella mente si aprono le porte del manicomio.

Io facevo quei muri, proprio quella casa, che in compagnia di quei poveri dementi che dovevano entrarvi era pure destinato il mio buon padre!. Il destino non vuole dare tregua ad Ado: anche se non gli rimangono molte “pagine di vita” da scrivere, la sua testimonianza brilla per profondità e umanità e riscatta la brutalità dell’esistenza a cui è stato condannato".

L’opera è premiata con 1.000 euro e la pubblicazione del testo, entro il 2023, a cura della casa editrice Terre di Mezzo nella collana dedicata ai testi dell’Archivio Diaristico Nazionale.


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